Veleni mentali: sveliamo l’antidoto per disintossicarsi

La tossicità non è solo un fenomeno fisico, ma anche mentale

Ad avvelenarci sono pensieri ed emozioni negative, che apparecchiamo quotidianamente senza neanche rendercene conto. Questi veleni ci fanno accumulare tensione, stress, ansia, rabbia, tristezza e altre emozioni negative, dannose per la nostra mente e per le persone che sono ci accanto.

Se manteniamo a lungo degli atteggiamenti negativi, alimentando delle preoccupazioni infondate e se restiamo immersi negli stati emotivi negativi andremo ben presto in tilt, creando meccanismo devastanti a livello inconscio, a meno che non impariamo le giuste tecniche per superare il logorio che ci corrode, trovando così ogni volta il nostro equilibrio dinamico.

Parliamo ovviamente di veleni seri, diversi dalle cosiddette “seghe mentali“, ovvero ossessioni compulsive che hanno un tempo limitato.

I veleni rimangono. Non è il mosto del serpente ad ucciderci, ma il suo veleno.

Riconosciamo i nostri pensieri

Il primo passo da compiere nella direzione giusta è quello di riconoscere la qualità dei nostri pensieri, riconoscere di essere “avvelenati emotivamente”.

Più ci focalizziamo sui pensieri bassi, più diamo peso ai pensieri negativi, meno saremo centrati su noi stessi.

Occorre dunque imparare ad identificare velocemente le emozioni negative, poiché ciò permette di capire qual è il nostro grado di intossicazione emotiva e di poter rimediare in tempo.

Essere consapevoli dell’emozione, anche se la nostra consapevolezza non è sufficientemente chiara da liberarla totalmente, ci fornisce infatti il punto di partenza per mettere in pratica altri approcci che diventeranno così più accessibili.

Come uscire dal circolo vizioso?

Innanzitutto, occorre precisare che la “disintossicazione” richiede il suo tempo e che, proprio come succede quando abbiamo bevuto troppo, soffriremo dei postumi della sbornia.

Per trovare l’antidoto occorre conoscere e riconoscere il pensiero antagonista, opposto a quello che ci sta avveleniamo: contro la rabbia e l’angoscia ad esempio dobbiamo usare pensieri di felicità.

Utile dunque:

1) Dare un nome alle nostre emozioni: esprimere a parole quello che ci sta accadendo è un primo modo per prenderne coscienza e tirar fuori il veleno.

2) Evitare di rimuginare troppo: ciò alimenta l’ansia e le emozioni negative. Diamoci piuttosto del tempo e distraiamoci con altri pensieri.

3) Mettiamo da parte il senso di colpa: impariamo a riconoscer il nostro valore e godiamoci i nostri successi.

4) Creiamo delle aspettative realistiche: se ci avvelenano i fallimenti, forse la meta è troppo ambiziosa e andrà pianificata nel dettaglio.

5) Un cambiamento alla volta: quando si è intossicati si prendono decisioni avventate nel tentativo di porre fine al problema. Meglio procedere per gradi: un piccolo cambiamento al giorno, ci darà la giusta motivazione per farne tanti altri nei prossimi mesi.

6) Accantoniamo il passato: il passato non deve influenzarci, neanche se abbiamo commesso errori che ci hanno segnati.

7) Non curiamoci degli altri: allontaniamo le persone tossiche ed evitiamo di fare peso al giudizio altrui.

8) Impariamo a ridere di noi stessi: l’autoironia, la capacità di sdrammatizzare sono degli antidoti eccezionali.

9) Miglioriamo l’autostima: ricordiamo che a questo mondo c’è solo una persona che ci impedisce di arrivare lontano, noi stessi.

La meditazione

Inutile dedicarsi alla meditazione quando siamo “avvelenati“.

Avremo solo bisogno di silenziare la mente.

Non riusciremmo infatti a concentrarci e a centrarci se siamo intossicati dai veleni, poiché la nostra mente è annebbiata ed i pensieri non sono chiari, dunque irriconoscibili. La meditazione è propedeutica al benessere. Va fatta quando si sta bene, con l’obiettivo di prevenire e di insegnarci a gestire i pensieri  tossici. Essa prepara un pensiero fertile che saremo in grado di mettere in campo attraverso le famose visualizzazioni di cui abbiamo parlato altre volte.

L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi”  Kahlil Gibran

Fonte: http://www.inliberta.it/veleni-mentali-sveliamo-lantidoto-per-disintossicarsi/

LA CIVILTà DELL'ORTO —
La Coltivazione Elementare
di Gian Carlo Cappello

La Civiltà dell'Orto —

La Coltivazione Elementare

di Gian Carlo Cappello

L'idea di una “Civilta? dell’Orto” nasce per la sussistenza alimentare dei/delle partecipanti.

Ogni persona che contribuisce, sia con il lavoro sul campo sia con beni e/o servizi, può accedere al raccolto condiviso. Il Non-metodo di Coltivazione Elementare sviluppa il principio definito del «non fare».

Cosa non facciamo:

  • nessuna lavorazione del terreno, neppure superficiale e neppure all'inizio della coltivazione;
  • nessun uso di fertilizzanti, antiparassitari, ammendanti e diserbanti (ne? chimici ne? organici né omeopatici) né E.M.;
  • nessuna rotazione colturale, consociazione varietale, compostaggio, sovescio, progettazione, calendarizzazione;
  • riduciamo al minimo l'apporto di acqua irrigua;
  • nessun intervento contro le cosiddette “malattie” né contro l'erba spontanea poiché considerate parte dei processi naturali di ripristino dell'equilibrio non comprensibili alla mente razionale;
  • non scegliamo dogmaticamente sementi antiche

Cosa facciamo:

  • preserviamo il naturale equilibrio della terra e del contesto di coltivazione;
  • consideriamo la crescita delle coltivazioni come conseguenza dell’equilibrio della biosfera;
  • cerchiamo di rendere le piante coltivate quanto piu? «selvatiche» possibile;
  • promuoviamo il cambiamento e la crescita interiore, affiniamo l'intuito, il sentire, la saggezza innata e l'intrinseca capacità creativa di risoluzione dei problemi;
  • sosteniamo l'autosufficienza alimentare e il superamento dell'economia capitalista.
  • favoriamo l’inserimento di nuovi/e partecipanti che condividano questi principi.

Il CAMBIAMENTO e? POSSIBILE!

Perché leggere questo libro:

  • Per scoprire perché in agricoltura "non fare" è meglio di "fare".
  • Per sentire la voce di un esperto agrotecnico con oltre 30 anni di esperienza nel campo.
  • Perché non si tratta solo di un manuale di agricoltura, ma anche di un'inaspettata riflessione sulla società e sui comportamenti comunemente accettati, talvolta inspiegabili, dell'essere umano.

Dalla quarta di copertina

La Coltivazione Elementare è la realizzazione più avanzata della filosofia del «non fare», concepita ormai mezzo secolo fa dal contadino giapponese Masanobu Fukuoka. Essa rivisita con creatività ed estemporaneità nel contesto di per sé perfetto della Natura l'esperienza di una ruralità tramandata di generazione in generazione.

Se la tecnologia ci rende dipendenti dalla razionalità allontanandoci dalla nostra vera dimensione naturale, la Coltivazione Elementare ci può affrancare dai disastrosi tentativi dell'umanità di controllare la vita.

Nei processi naturali c'è già la ricchezza per ottenere con ottimi raccolti l'autosufficienza alimentare delle comunità. La nostra esistenza si può allineare alla perfezione imperscrutabile che è dentro di noi.

Ciò che ho scritto non è e non vuole essere soltanto un manuale, ma ripercorre i miei cinquant'anni di esperienza sul campo ed è rivolto ai lettori e alle lettrici che già coltivano o coltiveranno e ai borderline desiderosi di liberarsi dal peso della città e della società capitalista.

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