Risvegliati dall’ipnosi collettiva del consumismo della società contemporanea e comincia a vivere. L’equazione soldi = felicità è falsa!
Sicuramente avrai sentito parlare di “legge di attrazione” e di tutto il filone new age che attribuisce grande valore etico e spirituale alla benessere materiale e al fare soldi !
Famosi autori americani sostengono addirittura che il messaggio di Aristotele, Gesù, Buddha siano stati manipolati dai “poteri forti” per tenerci in una condizione di schiavitù.
Per molti di questi “espertoni“, personaggi come San Francesco sarebbero stati inventati dai potenti per farci vivere come schiavi. Queste cose peraltro le apprendono su youtube. Per loro non ha senso studiare. Le Università e le case editrici sono tutte in mano alle Lobby che ci tengono sottomessi in una situazione di schiavitù.
In questo video scoprirai che questo tipo di affermazioni non è altro che un’invenzione recente di una macchina commerciale finalizzata a vendere libri e corsi new age e scoprirai quali sono i beni che possono apportare felicità alla tua vita.
Fare soldi non ti darà la felicità!
Lo dico senza mezzi termini, l’idea che accumulando ricchezze si raggiunga la felicità è falsa!
Fare soldi non ti darà la felicità!
Consumare di più non ti darà la felicità!
Questa è una verità nota sin dai tempi degli antichi filosofi greci. Non è una cospirazione dei poteri forti come dicono i seguaci e i sacerdoti americani di “the secret”.
L’equazione Felicità = Ricchezza (e consumo di beni) è un’idea molto recente indotta dal consumismo e dalla comunicazione pubblicitaria. Non è appartenente ad alcuna tradizione ed è stata criticata più volte da psicologi e filosofi a partire dagli anni ’60.
Fare soldi rende la vita comoda ma non felice
Intendiamoci, i soldi sono una cosa importante della nostra vita. Non sono un asceta, ne un santone, quindi posso dirti serenamente che tutti noi dobbiamo pagare le bollette e far fronte alle nostre spese. Chi più, chi meno, tutti abbiamo appreso con l’esperienza che i soldi sono importanti in questa vita. Stare senza denaro può essere davvero una esperienza molto dolorosa, causa di sofferenze importanti.
Un po’ di soldi in più nel portafogli fanno comodo a tutti. Anche a me che scrivo queste cose. Avere disponibilità economica sufficiente ad onorare tutti i propri impegni e finanziare i propri progetti importanti è un presupposto indispensabile per vivere bene. Non si può vivere di espedienti e stenti una intera vita e sentirsi realizzati e felici allo stesso tempo.
La questione qui non è fare del moralismo ma individuare e focalizzare
quello che davvero è importante nella vita.
Il denaro rende sicuramente la vita comoda da vivere, e porta con se una certa dose di appagamento e serenità ma non la felicità, che è cosa ben diversa.
E’ una verità che si conosce da più di 2500 anni
I filosofi greci più di 2500 anni fa avevano già intuito la differenza tra l’appagamento dei desideri materiali e la felicità.
Se fosse vero che il danaro crea la felicità basterebbe sposare una persona miliardaria, o fare un qualunque lavoro ben pagato per trovare la felicità. L’esperienza e la storia ci insegnano che non è così. Sono tantissime infatti le persone che si sono ritrovate a vivere condizioni di vita di completa infelicità a causa di simili scelte.
Fare soldi non ci darà quello che serve davvero
Quello che dobbiamo ricordare è che il nostro reddito ci può dare solo un po’ di serenità mentale, un po’ di appagamento, e un po’ di sicurezza in più, ma non ci darà la felicità.
Questa non è una affermazione moralista che vuole limitare le potenzialità delle persone e renderle schiave, come sostengono le teorie complottiste new age. Già Aristotele nel IV secolo AC sosteneva
“ è chiaro che non è la ricchezza il bene da noi cercato: essa infatti ha valore solo in quanto “utile”, cioè in funzione di qualcos’altro “.
Adam Smith, considerato fondatore dell’economia politica e tra i padri fondatori del pensiero liberale, uno dei filosofi che ho amato di più negli anni della mia gioventù, nel saggio “Teoria dei sentimenti morali” scriveva in merito al rapporto tra ricchezza e felicità:
“il figlio dell’uomo povero lavora giorno e notte per acquisire talenti superiori ai suoi concorrenti” spinto dall’idea ingannevole che il ricco sia più felice o possieda “maggiori mezzi per la felicità“, ma, in realtà, essendo la capacità di godere dei beni fisiologicamente limitata, l’uomo ricco può consumare poco di più del povero, la cui minor quantità di beni è compensata dalle minori preoccupazioni e dalle migliori relazioni sociali rispetto al ricco che vive continuamente in ansia per i suoi beni, ed invecchia solo e deluso per non aver raggiunto la felicità e per di più invidiato dai suoi concittadini.”
Perché tanti personaggi importanti hanno rinunciato a fare soldi?
Una domanda che mi sono sempre posto e che mi piacerebbe proporre ai tanti guru e seguaci del filone di TheSecret è questa:
“perché i filosofi dell’antica Grecia, Buddha, Gesù, San Francesco, e personaggi più recenti come Tolstoy e Gandhi hanno rinunciato a fare soldi nella vita?“, “Se è vero quello che dite che fare i soldi porta la felicità, perché queste persone hanno abbracciato una povertà volontaria?” . Forse si erano distratti per un momento!
Rinunciare a fare soldi non vuol dire vivere nell’indigenza
Una precisazione è doverosa per non incorrere in strani equivoci. Povertà volontaria non significa indigenza o non riuscire a badare a se stessi gravando sugli altri.
La povertà assoluta di chi non riesce a procurarsi il proprio sostentamento, che esiste in alcune parti del mondo e alle volte anche nelle nostre città, è una ingiustizia grave.
Povertà volontaria vuol dire rinunciare volontariamente a ciò che non è indispensabile. Rinunciare al superfluo per concentrarsi su ciò che davvero conta.
Il filosofo romano Seneca diceva “Non è mai poco quello che è abbastanza“. Come aveva intuito Adam Smith e come scoprirai anche tu tra breve “la minor quantità di beni è compensata dalle minori preoccupazioni e dalle migliori relazioni sociali”. Adesso te lo spiegherò con il linguaggio della scienza.
Il Paradosso di Easterlin
In tempi più recenti Richard Easterlin professore di economia all’Università della California meridionale, nel 1974 ha scoperto il così detto paradosso della felicità (paradosso di Easterlin) con il quale ha dimostrato scientificamente che la crescita del reddito ha un’influenza molto limitata sulla felicità personale. Questo è valido sia a livello di singolo individuo sia a livello di collettività.
Easterlin arriva alla formulazione del suo “paradosso” partendo da alcune domande abbastanza semplici: “come mai la moderna crescita economica ha una diffusione assai limitata?, Come mai non tutti gli abitanti del pianeta sono impegnati nella crescita economica ma solo una piccolissima parte?“.
Dopo anni di ricerca, nel tentativo di trovare una risposta a queste semplici domande, concluse che nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza. Easterlin ha formulato il suo paradosso applicando il metodo scientifico, classico delle università di economia, intervistando campioni di migliaia di individui.
Fare soldi aiuta solo fino ad un certo punto
Secondo Easterlin quando aumenta il reddito, la felicità umana aumenta fino a un certo punto, ma poi comincia a diminuire, seguendo una curva a forma di “U” rovesciata come quella mostrata nel grafico seguente.
Sotto una certa soglia il rapporto tra ricchezza e felicità è direttamente proporzionale (la felicità cresce al crescere della ricchezza). Oltre una certa soglia il rapporto si inverte fino a diventare inversamente proporzionale, cioè a maggior ricchezza la felicità si riduce.
Presupporre che guadagnando di più si possa raggiungere la felicità, è un’illusione, nella quale è inciampata tutta la società occidentale negli ultimi 50 anni. È un sogno ipnotico in cui ci hanno proiettato la televisione, il cinema e i giornali di costume, con i loro messaggi pubblicitari finalizzati a renderci sempre più dipendenti dall’acquisto di nuovi prodotti.
È la stessa illusione in cui è caduta gran parte della formazione e dello sviluppo personale.
Le proprietà quando sono tante diventano un male
Esiste un punto critico oltre il quale possedere di più non aggiunge nulla alla nostra esperienza di vita anzi sottrae. Questo è il punto in cui le merci da “beni” diventano i nostri “mali“, diventano cioè preoccupazioni, impegni, riduzione dei nostri spazi di libertà e socialità. Facciamo qualche esempio:
Esempio 1 possedere immobili
Possedere un appartamento è sicuramente un elemento di grande utilità. Chi è proprietario della casa nella quale vive, risparmia il canone di locazione, e utilizza una abitazione per 365 giorni l’anno, al solo costo delle spese di manutenzione dell’immobile. L’utilità che ricava da quel bene è sicuramente molto alta.
Chi è proprietario di una seconda casa, magari al mare, può sicuramente divertirsi d’estate, ma l’utilità che ricava da questo secondo bene di uguale valore è nettamente inferiore e ristretta ad un periodo di tempo molto limitato a fronte dello stesso costo di manutenzione dell’immobile (oltre l’impegno di tempo per la cura e le spese fisse come le bollette e le tasse).
Non si può nemmeno dire che una casa al mare sia una soluzione definitiva per le vacanze. Infatti, le spese che il proprietario affronta per l’acquisto, la manutenzione e il soggiorno, sono sottratte da un budget che avrebbe potuto utilizzare per altri generi di esperienze (viaggio, crociera, ritiro spirituale, vacanza tropicale). Questo comporterà la limitazione di una buona dose di libertà e di opportunità.
Chi è proprietario di molti immobili sarà oberato di lavoro a causa degli impegni per la loro manutenzione. Prima o poi dovrà trovare un modo per mettere questi immobili a reddito (affittarli) trasformandoli così in un secondo lavoro. Qualora non riuscisse a metterli a rendita dovrà venderli e monetizzare.
Esempio 2 possedere attrezzature
Il discorso è valido anche per le attrezzature che utilizziamo per lavorare come ad esempio i computer.
Possedere un computer performate è sicuramente una cosa molto utile che ci permette di aumentare la nostra produttività individuale.
Possedere due computer, non migliora la qualità del lavoro, ma anzi la peggiora aumentando la dispersione e i livelli di distrazione. Tranne rare eccezioni, infatti, possiamo utilizzarne solo un computer alla volta.
L’aumento del numero delle App sul telefonino non migliora l’esperienza d’uso dell’apparecchio e non ci rende più produttivi ma al contrario ci farà perdere un sacco di tempo per imparare ad utilizzarle.
Più App istalliamo sul nostro smartphone meno tempo libero abbiamo per goderci le altre esperienze che la vita ci offre, con un notevole decremento della qualità della nostra esperienza globale di esistenza.
Possedere non vuol dire ricavare godimento
Infine, c’è da dire che possedere qualcosa non vuol dire automaticamente saperne ricavare il massimo godimento.
Il nuovissimo modello di smartphone il cui costo di acquisto è quasi pari ad uno stipendio di un mese di lavoro di un dipendente, sarà sicuramente più veloce ma non migliorerà per nulla la capacità di comunicare con gli altri individui di chi lo compra.
I beni per la felicità
C’è da chiedersi se esistano invece dei beni utili a raggiungere la felicità e come questi possano essere acquisiti da noi.
Ci sono beni che non sono beni materiali e che non si possono comprare con il danaro ma di cui ognuno di noi ha comunque un grande bisogno.
Sono beni immateriali che le persone acquisiscono e scambiano tra loro con grande impegno personale e con l’investimento di tempo ma senza soldi e sono “i beni più importanti di una vita“.
Sono i cosiddetti beni personali e relazionali, come:
- l’autostima,
- la capacità di trovare il silenzio dentro se stessi,
- l’amicizia,
- l’amore,
- un sorriso,
- una passeggiata in riva al mare,
- un abbraccio,
- la riconoscenza di un amico,
- passare il tempo con propri i figli ed osservarli crescere,
- condividere i propri valori con gli altri,
- la capacità di godere della vista di un tramonto,
- la capacità di dedicare del tempo per se stessi.
Il nostro benessere e la nostra felicità dipendono sicuramente anche dai beni materiali, senza i quali la nostra vita sarebbe eccessivamente faticosa, ma soprattutto dipendono dalla qualità dei RAPPORTI che riusciamo a costruire con le persone che ci circondano e dal sentirsi REALIZZATI in quello che si fa.
Lo sosteneva anche Robert Kennedy
Il 18 Marzo del 1968, tre mesi prima di essere assassinato, Robert Kennedy, in un discorso presso l’università del Kansas, disse:
“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jpnes, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.“
Fondamenta solide per la felicità
Per costruire una vita che sia veramente felice e pienamente realizzata abbiamo bisogno di fondamenta più solide. Fare soldi, rincorrere il nuovo oggetto tecnologico, la nuova automobile, l’aumento del reddito la crescita del nostro conto in banca ci darà molto poco.
Fonte: https://www.lucianocassese.it/fare-soldi-non-ti-fara-felice/