Marzo 1968: La “Strage di My Lai” (Vietnam) e i Criminali a Stelle e Strisce

di Enrico Vigna

Questa pagina è solo una  delle migliaia di pagine di crimini, orrori, ferocia di cui l’esercito statunitense, assistito dai maggiordomi occidentali ed europei, Italia compresa, ha insanguinato il mondo negli ultimi settant’anni.

Il libro nero dei crimini statunitensi in Vietnam - Osservatorio Globalizzazione

A proposito di crimini e di criminali… quanti generali, ufficiali, politici occidentali sono stati chiamati a rispondere dei crimini DOCUMENTATI storicamente, in: Korea, Puerto Rico, Guatemala, Vietnam, Laos, Cambogia, Indonesia Permesta, Libano 1958, Cuba Baia Porci, Repubblica Democratica Congo 1964, Thailandia, Bolivia, Repubblica Dominicana, Libano 1982, Grenada, Libia 1986, Iran Golfo Persico 1987, Panama, Iraq 1991, Somalia 1992, Jugoslavia, Haiti, Repubblica Federale Jugoslava Kosovo, Afghanistan, Yemen, Iraq 2003, Pakistan Nord Ovest 2004, Somalia 2007, Libia 2011, Uganda, Siria, Niger 2018…oltre a quasi 300 partecipazioni in conflitti senza risultare ufficialmente, come riportato da David Swanson, autore, attivista per la pace, giornalista statunitense e candidato al Nobel per la Pace. Si tratta di centinaia di migliaia di vittime in ogni angolo della Terra, tutto questo senza che nessun “fervente e celebrato servitore della democrazia, della giustizia e della verità”, abbia mai posto un problema di CRIMINI e CRIMINALI di GUERRA a cui chiedere conto delle loro atrocità e infamie contro l’umanità diseredata o renitente ai loro ordini.

Senza dimenticare la nostra “italietta”, che nella sola Jugoslavia e Grecia, sono stati incriminati oltre 400 criminali di guerra…naturalmente MAI processati.

Il generale William Westmoreland, Commander of American Forces in Vietnam, aveva scritto: “Alcune delle persone erano così solidali con i VietCong, che l’unico modo per stabilire il  controllo… tra la gente era rimuovere la gente e distruggere il villaggio… “.

Il 16 marzo 1968 nel villaggio di My Lay nel Vietnam del Sud, la compagnia Charlie del primo Battaglione, 11th Brigada, ventitreesima divisione di fanteria (detta “Americal Division” dalla contrazione di America e Caledonia) dell’ esercito americano, sotto il comando del tenente William Calley,  massacrò 504 civili vietnamiti disarmati. Ai soldati della compagnia Charlie era stato detto dai superiori che il villaggio ospitava combattenti Viet Cong, e che avrebbero dovuto distruggerlo. In realtà quando i soldati dell’ 11ma brigata arrivarono sul posto non trovarono Viet Cong e nessuna resistenza.

I soldati convinti che i civili fossero una minaccia incominciarono ad ammassarli nei fossi ed a sparare con le armi automatiche. Uno dei soldati, Varnado Simpson,  subito dopo i fatti disse: ” Ho ucciso circa 8 persone quel giorno. Ho sparato a un paio di vecchi che stavano scappando. Ho anche sparato ad alcune donne e bambini. Gli sparavo mentre scappavano dalle capanne o cercavano di nascondersi…”. Qualche tempo dopo, raccontò: “..Non dovevi cercare la gente per ucciderla: erano proprio lì. Tagliai le loro gole, le loro mani, le loro lingue, li scotennai. Io feci questo. Molti di noi facevano questo ed io feci come gli altri. Avevo del tutto perso il senso della misura…”.

Paul David Meadlo, 22 anni, un membro del plotone Calley, ha detto che “il nostro gruppo ha attraversato My Lai, radunando uomini, donne, bambini e neonati nel centro del villaggio, erano “come una piccola isola”. Il tenente Calley si avvicinò e mi disse: ‘Sai cosa fare con loro, vero?’ E io ho detto ‘Sì.’ E se ne andò, tornò circa dieci minuti dopo, e disse: ‘Come mai non li hai ancora uccisi?’ E gli ho detto che non pensavo volesse che li uccidessimo, che voleva solo che li proteggessimo. ‘No, li voglio morti.’ Ed incominciò a sparare su di loro. E mi disse di cominciare a sparare. Svuotai circa 4 caricatori [68 shots] su di loro. Potrei aver ucciso 10 o 15 persone…”.

Il caporale Jay Roberts, ricorda che gli scatenati G.I. non erano esclusivamente interessati ad ammazzare… sebbene senza dubbio ammazzare fosse di gran lunga la loro principale occupazione… La rivista LIFE del quotidiano inglese Times riporta così le parole di Roberts: “…Le truppe accostarono un gruppo di donne, inclusa una adolescente. Un GI afferrò la ragazza e con l’aiuto degli altri cominciò a svestirla. “Vediamo come è fatta”, disse uno. “Viet-cong bum bum”, disse un altro, dicendo alla ragazzina che era una prostituta dei viet-cong. “Ho voglia”, disse un terzo. Mentre spogliavano la ragazzina, con cadaveri e capanne bruciate tutt’attorno, la mamma della ragazza cercò di salvarla. Un soldato le diede un calcio, un altro la schiaffeggiò. Ron Haeberle (il fotografo dell’esercito) si precipitò a fare una fotografia al gruppo di donne. La foto (a sx) mostra una tredicenne che si nasconde dietro sua madre, cercando di chiudere il bottone del suo pigiama. Quando si accorsero di Ron, lasciarono perdere e si voltarono come se tutto fosse normale. Poi un soldato chiese: “Beh, che ne facciamo, di loro?” “Uccidile”, rispose un altro. Sentii partire un M60, e quando ci voltammo erano tutte morte, compresi i bambini che avevano con loro”.

Il massacro fu interrotto solo a seguito dell’intervento dell’equipaggio di un elicottero dell’esercito USA in ricognizione, che atterrò frapponendosi tra i soldati americani e i superstiti vietnamiti. Il pilota, Sottufficiale Hugh Thompson Jr., affrontò i soldati sul campo e disse che avrebbe aperto il fuoco su di loro se non si fossero fermati. In un fosso, Thompson trovò un bimbo di tre anni ricoperto di sangue ma illeso. Subito chiamò altri elicotteri in aiuto e fece rapporto ai suoi comandanti su ciò che aveva visto.

Immediatamente iniziò un’azione di depistaggio ed insabbiamento per evitare che l’intervento di Thompson potesse evolvere in ulteriori indagini. I rapporti ufficiali da My Lai dicevano che era stato una splendida vittoria contro una postazione Viet Cong fortemente difesa. Stars and Stripes, il giornale dell’esercito pubblicò un servizio che applaudiva al coraggio dei soldati che avevano rischiato le loro vite. Anche il generale William Westmoreland mandò le sue congratulazioni personali alla compagnia Charlie.

L’ “investigazione” iniziale su My Lai venne svolta dal comandante dell’11a Brigata, Col. Oran Henderson, su ordine dell’assistente comandante della Divisione Americal, BG Young. Henderson interrogò diversi soldati coinvolti nell’ incidente e quindi scrisse un rapporto (nell’ aprile di quell’ anno) in cui dichiarava che 22 civili erano stati inavvertitamente uccisi in scontri con il nemico: l’esercito a quel momento descriveva l’ accaduto come una vittoria militare in cui erano stati uccisi 128 combattenti nemici.

Sei mesi dopo un giovane soldato dell’11a brigata (nota come la “Brigata dei macellai”) di nome Tom Glen, scrisse una lettera accusando la Divisione Americal (e altre intere unità dell’esercito USA, non facendo accuse a singoli individui) di ordinaria brutalità nei confronti dei civili vietnamiti; la lettera era dettagliata, le sue accuse terrificanti, e il suo contenuto richiamava lamentele ricevute da altri soldati. Colin Powell, all’epoca un giovane Maggiore dell’Esercito, venne incaricato delle investigazioni sul massacro. Powell scrisse: “A diretto disconoscimento di quanto descritto, c’è il fatto che le relazioni tra soldati americani e popolazione vietnamita sono eccellenti…”. In seguito, la confutazione di Powell sarebbe stata chiamata un atto di “white-washing” (candeggiatura) delle notizie del massacro, e così la questione sarebbe continuata a restare celata al pubblico.

Il caso sarebbe rimasto insabbiato se non fosse intervenuto un altro soldato, Ron Ridenhour, che, avendo appreso degli eventi di My Lai  parlando con dei membri della Compagnia Charlie, indipendentemente da Glen, mandò una lettera al presidente Nixon, al Pentagono, al Dipartimento di Stato ed a numerosi membri del Congresso USA. Le copie di queste lettere furono spedite nel marzo 1969 a più di un anno dagli avvenimenti. La maggior parte dei destinatari ignorò la lettera di Ridenhour con l’unica eccezione del rappresentante alla Camera il democratico Morris Udall.

Alla fine il tenente Calley fu accusato di assassinio premeditato nel settembre 1969, e altri 25  ufficiali e soldati furono accusati di crimini connessi. Ci vollero altri due mesi prima che il pubblico americano apprendesse del massacro. Nel novembre del 69 il massacro fu la “Cover Story” sia su TIME che su NEWSWEEK. La CBS mandò in onda un’ intervista con Paul Meadlo, Life Magazine pubblicò le fotografie di Haerberle.

Le reazioni alle notizie del massacro furono varie: alcuni politici continuarono ad affermare che non vi era stato alcun massacro e che i resoconti di stampa erano macchinazioni per boicottare la guerra in Vietnam, altri invocarono l’apertura di un’ inchiesta indipendente, l’amministrazione scelse una via di mezzo optando per una commissione del Pentagono a porte chiuse, a capo della commissione fu nominato il generale a 3 stelle William Peers.

Per 4 mesi la commissione Peers interrogò 398 testimoni, dal generale Koster, comandante della divisione “Americal” fino ai soldati semplici della compagnia Charlie. Furono raccolte oltre 20,000 pagine di testimonianze. Il rapporto Peers criticò il comportamento sia di ufficiali che di soldati. Peer raccomandò di prendere provvedimenti contro dozzine di uomini per stupro, assassinio o partecipazione al depistaggio.

Il rapporto Peer

Il rapporto è reso disponibile in rete presso il sito della UNIVERSITY MISSOURI – KANSAS CITY SCHOOL OF LAW. Il rapporto fu completo ed approfondito non omettendo nulla. Lo stesso Hugh Thompson, il pilota di elicottero che era intervenuto per fermare il massacro ebbe a dire: “Il Generale Peers condusse un’inchiesta veramente approfondita: non piacque per niente al Congresso perchè fu onesta e completa e, nelle conclusioni Peers raccomandò la corte marziale per, credo, 34 persone, non solo per gli assassinii, ma anche per il tentativo di occultare la vicenda. In verità l’occultamento operato a vari livelli fu probabilmente vergognoso quanto il massacro stesso, in effetti il generale raccomandò la corte marziale per molti ufficiale di rango elevato”.

L’Army’s Criminal Investigation Division continuò l’iter investigativo. Molte delle persone indicate nel rapporto Peers come colpevoli di crimini di guerra, non erano più nell’ esercito e quindi non potevano essere giudicate da una corte marziale. Una sentenza del 1955 della Corte Suprema, Toth vs Quarles, stabiliva infatti che i tribunali militari non potessero sottoporre a processo personale non più in servizio, indipendentemente da quanto gravi fossero le accuse. Si stabilì, quindi, di procedere contro un totale di 25 fra ufficiali e soldati, tra cui il generale Koster, il colonnello Oran Henderson, il capitano Medina. Alla fine, comunque, soli pochi furono effettivamente processati e di questi solo uno, William Calley, fu dichiarato colpevole. Nei confronti del generale Samuel Koster, l’ufficiale più alto in grado, tra quelli contro cui si procedette, che aveva mancato di riportare nei suoi rapporti il fatto che vi erano state numerose vittime civili ed aveva condotto un’inchiesta chiaramente inadeguata, furono ritirate le accuse e se la cavò solo con una lettera di censura e con una riduzione di grado. Il colonnello Henderson fu dichiarato non colpevole dalla corte marziale. Peers a questo riguardo espresse il suo disappunto scrivendo: “Non posso essere d’accordo con il verdetto. Se le sue azioni sono giudicate come standard e accettabili per un ufficiale nella sua posizione, l’esercito è davvero in guai seri”.

Il Tenente William Calley venne dichiarato colpevole nel 1971 di omicidio premeditato, per aver ordinato di sparare e venne condannato all’ergastolo, ma poi 2 giorni dopo, il Presidente Richard Nixon ordinò il suo rilascio dalla prigione. Calley scontò 3 anni e mezzo di arresti domiciliari in caserma a Fort Benning (Georgia) e venne mandato libero da un giudice federale.

Il soldato Varnado Simpson non riuscì mai a liberarsi dei fantasmi scatenati da quel giorno a My Lai: quando nel 1977 il figlio di 10 anni fu accidentalmente ucciso da un colpo sparato da un ragazzo, Simpson disse: “Questa è la mia punizione per aver ucciso tutte quelle persone”. Infine, a 48 anni Simpson si sparò un colpo in testa.

Questa la testimonianza resa al TIME da Do Thi Chuc, anziana vietnamita, scampata al massacro che ebbe uccisi una figlia di 24 anni ed un nipotino di 4 anni: “Non ricordo altro che gente ammazzata. C’era sangue dappertutto. Sia gli americani bianchi che gli americani neri ammazzavano. Spaccavano le teste in due e molti americani avevano addosso pezzi di carne… ”

Il soldato semplice Richard Pendleton arrivò sul luogo dopo che la gran parte della strage era ormai stata compiuta. Sul TIME queste le parole di Pendleton: “…Ma i ragazzi stavano ancora sparando sulla gente, sui superstiti che correvano attorno al villaggio. Cadaveri si ammucchiavano lungo i sentieri, nei fossati, ovunque…un bambino se ne stava in piedi sui corpi di quindici adulti uccisi. C’era solo questo piccolo bambino e il capitano Medina [comandante della compagnia] gli sparò. Non so perché gli sparò, eccetto che c’era quel gruppo di cadaveri e tra essi suppongo ci fosse anche la mamma del bambino…”

Oggi il monumento alla memoria dei caduti nel villaggio di My Lai riporta 504 nomi di cui 182 donne (17 delle quali incinte), 176 bambini (56 dei quali infanti), 60 vecchi di oltre 60 anni. Non un colpo era stato sparato contro i fanti americani.

Articolo di Enrico Vigna (IniziativaMondoMultipolare/CIVG)

Fonti: Gilgamesh – US VeteranPeace – vietnamnews

Fonte: https://lantidiplomatico.it/dettnews-marzo_1968_la_strage_di_my_lai_vietnam_e_i_criminali_a_stelle_e_strisce/24790_49202/

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Anne Katharina Zschocke

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