La profondità come atteggiamento mentale

La profondità come atteggiamento mentale è una inclinazione che al giorno d’oggi non solo è difficile da realizzare ma che viene costantemente messa a rischio dalle condizioni culturali, sociali in cui viviamo…

Piero Fanucci, “La nuova volontà”, Astrolabio

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Essere profondi non è facile. La nostra mente, di suo, ama vagabondare, è il suo mestiere. Le cose si fanno ancor più difficili nella nostra epoca distratta e affrettata. Un contadino del medioevo doveva magari lottare con le carestie, le invasioni, lo sfruttamento, o i capricci del tempo. Ma la sua vita era semplice, i fattori in gioco pochi. L’abitante del ventunesimo secolo si trova in ben altra condizione. È più sicuro e protetto da un punto di vista materiale (nelle società più ricche). Ma l’universo in cui vive è immensamente più complesso. Ogni giorno gli arrivano stimoli di ogni tipo. I messaggi elettronici che riceve e che invia lo tengono occupato. Il ritmo che gli è imposto è sempre più veloce, gli impegni sempre più numerosi. Inoltre la sua mente ha a che fare non solo con i suoi problemi, ed è tutto dire, ma con le difficoltà e le angosce del mondo: un terremoto in Turchia o un’inondazione nel Pacifico, una crisi finanziaria o un nuovo virus globale, il riscaldamento del pianeta o la disoccupazione giovanile. Infine è allettato da mille promesse di piacere: di cibo, di eleganza, di tecnologia, di sesso. È invaso, confuso, distratto. Uno studio famoso ha mostrato che se all’entrata di un supermercato si offrono tre campioni gratuiti di marmellata, è più probabile che i soggetti in seguito comprino dei vasetti di quella marmellata. Se però deve scegliere fra ventiquattro campioni anziché tre, l’effetto di persuasione è molto meno efficace. Probabilmente perché i potenziali acquirenti sono confusi e snervati. Lo stesso accade, si è scoperto, con i bambini: mettili di fronte a tre giocattoli e sapranno quale scegliere; ma offrigliene ventiquattro, e diventeranno svogliati e capricciosi. Sono esperimenti che simboleggiano la condizione umana del nostro secolo: siamo circondati da una sovrabbondanza di stimoli, e lo stato di irrequieta e distratta confusione che ne deriva rischia di diventare un modo d’essere, quindi non più riconosciuto come un disagio, ma dato per scontato, tanto è comune e universalmente condiviso. Diventa lo sfondo costante a ogni nostro pensiero e attività. Dunque, l’abitante del ventunesimo secolo è intento a un progetto, e arriva un messaggino o squilla il telefono che con suoni bizzarri e insistenti interrompe la continuità dei suoi pensieri. Le idee e gli stimoli che circolano via internet o giornali o televisioni lo catturano per un momento: una lotteria, un record sportivo, un omicidio misterioso, un pettegolezzo mediatico, un colpo di scena politico: ma subito dopo un altro stimolo è in arrivo e la sua attenzione è già altrove. Il tranquillo rapporto con i libri è roba d’altri tempi: ora ci si muove al ritmo svelto e ineguale degli ipertesti. Le relazioni con gli altri si moltiplicano, diventando però sempre più leggere e prive di sostanza: quanti amici hai su Facebook che magari non hai mai neanche incontrato? La superficialità che affligge le relazioni è illustrata dalle coppie che si lasciano con un SMS: tre su cinque, secondo una statistica inglese. Come due persone finiscono una relazione la dice lunga su quella relazione: la fase finale riassume e simboleggia tutta la vicenda.

Lasciarsi via cellulare significa non sapersi guardare negli occhi e parlare di ciò che conta, non avere il coraggio di affrontare la reazione dell’altro, non tuffarsi assieme nel mare turbolento delle emozioni profonde. Così finisce un rapporto che era sovrappensiero e frettoloso già prima di cominciare. Il mondo odierno è straordinario per le possibilità che ci offre. Ma i rischi a cui ci espone sono grandi, e la superficialità è uno dei maggiori. L’abitante della modernità vive (spesso) una vita fatta di amici che non conosce, di idee che non approfondisce, di non-luoghi senza storia, di piaceri fruiti ma non goduti, di amori consumati ma non vissuti. È, o rischia di diventare, un androide distratto che vive una vita spezzettata e insoddisfatta. La profondità, invece, è una forza. Perché per essere profondi dobbiamo resistere a seduzioni, intimidazioni e distrazioni. Dobbiamo attraversare la noia e l’incertezza, conservare la memoria, tollerare il nulla. Senza lasciarci distrarre o scoraggiare. Solo allora la relazione in cui siamo ci rivelerà tutta la sua bellezza; solo allora il soggetto che stiamo studiando ci mostrerà tutta la ricchezza del suo significato; o il progetto che abbiamo iniziato, sia esso preparare una vacanza o scrivere una sinfonia, incomincerà a dare i suoi frutti. (…)  Dunque la via della profondità è costellata (anche) di noia, di frustrazioni, di difficoltà. È un cammino arduo. Però è anche pieno di sorprese e capovolgimenti. Davanti agli ostacoli possiamo rinunciare o cambiar rotta, ma allora tutto ciò che raccogliamo è rimpianto e insoddisfazione. Invece proprio là dove ci verrebbe di lasciar perdere, possiamo imparare e crescere. Come dice Martin Buber, ogni persona o situazione ha una sostanza spirituale, cioè un tesoro unico da offrirci, se solo ci soffermiamo con attenzione per riceverlo. Anche persone che sembrano banali, anche situazioni che ci paiono scontate. Il tesoro non è subito evidente, ma è al di là delle apparenze. È nostro se solo non ci affrettiamo e non andiamo oltre, alla ricerca di qualcos’altro. E questo è vero per tutte le situazioni: basta approfondire senza scappare. C’è, nel concetto di profondità, un elemento di forza che non si arrende, di combattività pronta ad affrontare mille ostacoli. A un certo punto si incontra la morte: nel senso di sconfitta, fallimento, disintegrazione, confusione, o vicolo cieco. Allora vacilliamo. Ci sentiamo scoraggiati. Ci vengono pensieri del tipo: “Non ce la faccio”, “Così non si va avanti”, “Questo non fa per me”, “Meglio gettare la spugna”. Ma questo avviene in ogni avventura degna di questo nome. È solo dopo che c’è stata una ‘morte’ che si può capire davvero la natura di una relazione, di un soggetto che si studia, di un’impresa in cui ci si impegna. Allora le nostre emozioni sono state evocate in profondità, le nostre risorse sono state stimolate e allenate. Solo allora abbiamo davvero avuto l’opportunità di capire. E abbiamo raggiunto la profondità.

L’atteggiamento profondo è anzitutto conoscitivo, implica un uso della mente più flessibile e poliedrico; è emotivo, perché attinge a risorse della psiche altrimenti inutilizzate, come la fiducia, il brivido del rischio, la gioia della riuscita, e perché ci fa esplorare scenari inaspettati e multiformi, ignoti a chi vive solo in superficie. È anche volitivo. È con la volontà che decidiamo di proseguire; di sopportare la noia, di approfondire anche quando sembra che non ci sia nulla da approfondire; di tener duro quando la stanchezza o la disperazione ci spingono a mollare. Chi continua attraverso le difficoltà attiva la volontà attraverso il tempo, quindi attraverso gli alti e bassi della vita e la molteplicità delle situazioni e delle vicende che incontra sulla sua strada. È chiaro che chi è a suo agio con la profondità si muove con la forza e la velocità di una auto da corsa, paragonata al sobbalzare caotico e inconcludente di un autoscontro. Si tratta di una capacità essenziale per il funzionamento nella vita di tutti i giorni, per la riuscita in ogni tipo di relazione che conti, e per la realizzazione di sé. (…)Possiamo anche parlare di mentalità consumistica come opposto di quella profonda. La mentalità consumistica è usa e getta: vuole un prodotto, ma dopo un po’ se ne sbarazza, perché quell’oggetto non ha più l’energia e la freschezza della novità. Vuole un rapporto con una persona, ma la consuma come una coca cola. Da quella persona non riceve la sua essenza profonda, percepita dopo anni di vicende condivise, ma le basta il godimento immediato: quindi superficiale e affrettato. Questa è una maniera sciatta di affrontare qualsiasi realtà. L’atteggiamento consumistico è una delle peggiori cose che lo spirito della modernità, pur così dinamico e variegato, ha portato con sé. Il grande ostacolo in tutto questo risiede proprio nel nostro strumento più prezioso: la nostra mente, che non solo è capace di approfondire, ma si distrae con grande facilità, e di continuo si sdoppia e accoglie parassiti di ogni sorta. (…)Per ovviare alla superficialità e alla distrazione il rimedio è uno solo: sviluppare la perseveranza e la concentrazione.

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Fonte: http://www.centroascoltopsicologico.it/2021/05/19/profondita/

LA MEDICINA NATURALE ALLA PORTATA DI TUTTI
di Manuel Lezaeta Acharan

La Medicina Naturale alla Portata di Tutti

di Manuel Lezaeta Acharan

Il libro espone la "Dottrina Termica" della Salute, aprendo un nuovo cammino per il benessere di tutti prendendo spunto ed unificando i vari sistemi naturali che sono stati immortalati da vari autori come: Priessnitz, Kneipp, Kuhne, Just, Rickli, Padre Taddeo, ecc., dando loro un contenuto filosofico e ponendo la salute "alla portata di tutti".

Edizione Italiana, quest'opera ha conosciuto una diffusione poche volte eguagliata: edizioni in Cile, in Messico, in Argentina, in Spagna, in Portogallo e negli Stati Uniti.
Un classico della naturopatia.

Dalla prefazione:

"Ho avuto la fortuna di trovare e leggere questo libro nel 1981, grazie all'incontro con Luigi Costacurta. Toccava problemi che mi affliggevano ed esponeva gli argomenti in maniera semplice, concisa e pungente. Fu una rivelazione, che cambiò radicalmente la mia vita. Sperimentai l'autogestione della salute attraverso una sana e corretta alimentazione e l'esercizio delle metodiche idrotermofangoterapiche che consentono l'eliminazione delle tossine accumulate nel sangue.

"La Medicina naturale alla portata di tutti" è diventata ormai un bestseller che si è diffuso con velocità in tutto il mondo appoggiandosi al passaparola di persone che hanno sperimentato su se stesse l'efficacia del naturoigienismo, che insegna a vivere in modo sano e in armonia con la natura. L'autore lo spiega nelle prime pagine:

"Il mio sistema procura il miglioramento della salute, mediante un regime di vita diretto a ottenere buona digestione, normale respirazione ed attività funzionale della pelle del soggetto"

Manuel Lezaeta Acharan nacque il 17 giugno 1881 a Santiago del Cile. Studente di medicina, fu avvicinato da P. Taddeo, un frate cappuccino tedesco di formazione kneippiana il quale gli dimostrò che la sua salute, gravemente compromessa, poteva essere recuperata attraverso la pratica della medicina naturale. Folgorato dai risultati ottenuti e sperimentati direttamente, e dato che i farmaci non gli procuravano alcun giovamento, si indirizzò completamente allo studio e alla pratica dell'igiene naturale. Per nove anni stette a fianco di P. Taddeo facendo tesoro di quanto poteva apprendere; nel frattempo si iscrisse alla facoltà di legge diventando avvocato, professione che non esercitò mai in quanto la sua attività fu dedicata totalmente alla medicina naturale.

Risulta chiaro che quanto viene detto in questo libro non fa concorrenza alla medicina così detta ufficiale, ma ne rovescia il modello. Non si parla di diagnosi e di medicine che attenuano od eliminano i sintomi e le manifestazioni della malattia; è la natura che interviene a ristabilire il disordine organico che è alla base dello stato di malattia. La salute è anzitutto una questione di igiene alimentare, vitale e mentale. Non si può acquisire la salute con l'aiuto di trattamenti che si limitano a dare la caceia ai microbi o ai virus, sollecitando chimicamente le reazioni organiche. In questo modo si finisce in un certo senso per "spostare" il problema, rischiando di creare ulteriori potenziali fonti patologiche. Lo riconobbe persino il tribunale di Santiago dove Lezaeta era stato denunciato per abuso di professione medica:

"Non è abuso della professione medica insegnare e consigliare l'utilizzo di elementi naturali, quali il cibo, l'aria, l'acqua, la luce, il sole e la terra, poiché non vi è nessuna legge che lo possa tacciare: nessuna pratica naturista costituisce abuso di professione medica, poiché queste scelte costituiscono una precisa scelta di vita"."

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