Italia: la patria del “capitale inagito”

Il mondo attuale, interconnesso, veloce e ultracompetitivo, impone a chi non vuole soccombere, il saper essere pronti, veloci e coordinati, per poter stare al passo.

Per tutti, individui e collettività, é fondamentale saper puntare ad esprimere il meglio, é approccio necessario per poter trarre beneficio e garantire e garantirsi benessere, stabilità e prospettive non solo economiche, ma anche esistenziali.

Tutto ciò naturalmente pone governanti e governati di fronte a sfide e scelte fondamentali verso il passo successivo, la costruzione del benessere di domani.

Il “Rapporto CENSIS sulla Situazione Sociale del Paese”, presentato a Roma lo scorso 5 dicembre e giunto alla sua 48^ edizione, é uno strumento necessario per interpretare i più significativi fenomeni socio-economici del Paese in atto.

Le Considerazioni generali introducono il Rapporto sottolineando come il Paese viva una profonda crisi della cultura sistemica e definisce “società delle sette giare” la nostra realtà, nella quale i poteri sovranazionali, la politica nazionale, le sedi istituzionali, le minoranze vitali, la gente del quotidiano, il sommerso e la comunicazione vengono percepiti come mondi non comunicanti, che vivono di se stessi e in se stessi.

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La figura della “giara” é calzante rispetto alla nostra condizione, proprio perché si tratta di contenitori a ricca potenza interna, ma con grandi difficoltà a stabilire significativi rapporti esterni”, e qui nascono i problemi.

Da questa visione di fondo scaturiscono considerazioni e consapevolezze ulteriori sul momento storico che attraversa oggi il paese:

“Non é pensabile una ri-presa dello sviluppo senza un’adeguata ri-flessione della base reale su cui operiamo; come tutte le società complesse, la nostra società cambia non attraverso “svolte” (momenti magici decisivi), ma attraverso processi di “transizione”, necessariamente lenti e silenziosi.”

Il rapporto affronta i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno, descrivendo una società satura dal “capitale inagito”, la solitudine dei soggetti, i punti di forza e di debolezza dell’Italia fuori dall’Italia:

“Siamo comunque una società indistinta e sfuggente: indistinta, perché non é più descrivibile con forme e figure delineate e significative; e sfuggente, perché tutto vaga senza radicamenti, per cui é impensabile un ritorno ai fili d’erba e ai cespugli di sviluppo, fenomeni tipicamente terragni, che hanno cioé bisogno di terra per sorgere e crescere.”

Il “capitale inagito” si sostanzia nella diminuzione di spese e investimenti e nella sottoutilizzazione delle forze fresche del paese: le risorse ci sarebbero ma non si usano.

Abbiamo tutte le possibilità ma non le stiamo sfruttando a dovere e il problema più impellente sta nel fatto che rimettere in moto l’ingranaggio e farlo funzionare a pieno regime, non é così semplice.

Nonostante il crollo dei redditi dovuto alla crisi degli ultimi anni, si assiste ad una crescita di di risparmi, liquidità e depositi bancari (2007-2013 + 4,9%) con il 44,9% delle famiglie italiane focalizzate sul risparmio per coprire le spese dovute a possibili imprevisti.

Al contempo nel 2013 anche gli investimenti delle imprese sono al livello più basso degli ultimi 13 anni.

Il rischio per il paese e per le aspettative della popolazione é che la “deflazione economica” possa trasformarsi in una “deflazione delle aspettative” con un conseguente “adattamento alla mediocrità”.

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A subirne le conseguenze sono soprattutto i giovani e i dati sono anche in questo caso disarmanti.

Il 75,9% dei disoccupati é rappresentato dalla fascia d’età 15-34 (50,9% prima della crisi), mentre tra chi lavora, i giovani rappresentano il 19,5% dei sottoccupati, fenomeno in costante aumento e ormai considerato atavico, imprescindibile e forse anche accettabile.

In forte aumento sono anche i NEET, i giovani che non studiano, non lavorano e non svolgono attività di formazione: erano 1.946.000 nel 2004, oggi sono 2.435.000.

Nel 2004 era occupato il 60,5% dei giovani, nel 2012 era occupato il 48%: in meno di dieci anni sono scomparsi oltre 2,6 milioni di occupati, con una perdita di oltre 142 miliardi di euro che si ripercuote drammaticamente già adesso sul sistema di welfare.

Dopo i giovani che dovrebbero rappresentare il futuro di un paese, sempre più rassegnati a vivere condizioni peggiori rispetto ai propri padri, per la prima volta dal secondo dopoguerra in poi, l’altro asset che non viene valorizzato, il “capitale inagito” per eccellenza per il “Bel Paese” é rappresentato proprio dal patrimonio storico, artistico e culturale.

Pur essendo il paese al mondo con più siti UNESCO, il nostro straordinario patrimonio non riesce ad essere valorizzato a dovere: nel 2013 la cultura ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro, contro i 35 della Germania e i 27 della Francia. Chiaramente anche a livello occupazionale non si sfrutta il potenziale e sono solo 304.000 lavoratori impiegati nel settore della cultura, 1,3% del totale, la metà di quelli del Regno Unito (755.000) e della Germania (670.000), ma molto meno anche rispetto ai 409.000 della Spagna.

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Gli italiani visto il contesto, si dimostrano particolarmente cinici nel rispondere alla domanda su quali siano i fattori più importanti per riuscire nella vita.

L’intelligenza raccoglie solo il 7% delle risposte, il valore più basso dell’Unione Europea. L’istruzione viene indicata dal 51% contro però l’82% della Germania e il 63% della media europea, mentre il lavoro duro conta per il 46% degli intervistati contro il 74% del Regno Unito. Naturalmente invece superiamo gli altri Paesi quando si arriva alle conoscenze giuste (indicate come fattore chiave dal 29% degli italiani contro il 19% dei britannici) e alla provenienza da una famiglia benestante (20% contro il 5% indicato dai francesi).

Unica parziale consolazione il “Made in Italy” che all’estero non conosce crisi: l’Italia é la V^ destinazione turistica al mondo e le esportazioni delle cosiddette 4 A (alimentari, abbigliamento, arredo-casa e automazione) sono aumentate del 30% tra il 2009 e il 2013, così come le reti di aziende italiane in franchising all’estero.

Punta di diamante é il concetto di “Italian Food”, non solo cibo ma rapporto con il territorio e qualità, definito dal CENSIS “straordinario ambasciatore del nostro Paese nel mondo globalizzato”.

Anche in questo caso l’interesse per l’Italia all’estero non é adeguatamente sfruttato e molto é lasciato all’iniziativa dei singoli.

Di fronte al problema del “capitale inagito” del Paese, il Presidente del CENSIS, Giuseppe De Rita, ha richiamato le parole del frate francescano Bernardino da Feltre: “Moneta potest esse considerata vel rei vel, si movimentata est, capitale” ovvero se le risorse liquide non si movimentano, restano sterili, sono solo cose.

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A rendere ancora più critica la situazione é arrivato anche l’ennesimo taglio di rating da parte di Standard and Poor’s: a mercati chiusi, venerdì 5 dicembre, il nostro Paese ha subito un ulteriore declassamento da BBB a BBB- con outlook stabile.

Il giudizio negativo si giustifica in ragione di una crescita perennemente debole e bassa competitività. Lo stesso Jobs Act é visto come un passo avanti ma, dall’esterno vengono giustamente percepiti i rischi sull’attuazione concreta. Al Governo si impone un passo più spedito e possibilmente un passaggio dalle slide ai fatti, passando per i provvedimenti.

Il vuoto fondamentale in Italia, a livello di idee ma anche funzionale, é proprio quello della politica che dovrebbe essere il collante tra le “giare” non comunicanti e si impone quindi un cambiamento radicale, ma anche un ritorno ai propri compiti originari come efficacemente indicato nella conclusione delle Considerazioni generali del Rapporto:

Con questo doppio passo (liberarsi dalle incrostazioni e recuperare i fondamentali), il fare politica può recuperare l’antica eredità dei greci (combinare pensiero alto e contaminazione pratica) e può riprendere la sua funzione di promotore dell’interesse collettivo. Addirittura con l’ambizione di essere quel “soggetto generale dello sviluppo” su cui si articolò con successo il ruolo dello Stato, che ha governato l’Italia per lunghi decenni, poi intellettualmente e istituzionalmente soffocato dalla voglia di potere, di comando, di dominanza dell’apparato pubblico, quella voglia ereditata dai partiti.”

Saranno in grado i nostri governanti a cogliere l’essenza del loro ruolo e a invertire una tendenza che nel tempo potrebbe portare a conseguenze sociali ben più drammatiche?

Fonte: “Rapporto CENSIS sullo stato sociale del Paese” a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

Fonte: https://www.exportiamo.it/aree-tematiche/9734/italia-la-patria-del-capitale-inagito/

LA VERITà, VI PREGO, SUL CIBO
Manuale di sopravvivenza alimentare
di Monia Caramma

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